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Coso

·287 parole·2 minuti

Conoscevo uno, un amico, un adulatore, uno che gli piaceva far piacere, uno che salutava con un sorriso, con una battuta, con un complimento, che si scherniva, pur di far piacere, che si faceva piccolo, per adulare. Uno finto, glielo leggevi in faccia, che era finto. Uno che però piaceva, perché i sorrisi, e le battute, e i complimenti, e il sentirsi migliori dell’interlocutore, il sentirsi più grandi, sono cose che fanno piacere, ti migliorano la conversazione, ti fanno sentire meglio, anche se non erano veri, quei sorrisi, quei complimenti, quello schernirsi. Era fascinoso, ma non era sincero. Non era nemmeno un amico, a pensarci bene. Era uno superfluo.

Mi è venuto in mente lui mentre leggevo  un libro di Paolo Nori che racconta la vita di Fëdor Dostoevskij, tra le altre cose, che mi ha fatto venire una gran voglia di leggerlo, Fëdor Dostoevskij. Ma a parte questo, che non è poco, leggere Fëdor Dostoevskij prima o poi, magari, a parte questo c’era una citazione, una cosa che diceva Fëdor Dostoevskij in Delitto e castigo, che diceva un suo personaggio, Svidrigajlov, e che diceva Nori, citandolo nel libro. Diceva

[…] che non c’è niente di più difficile che la franchezza e niente di più facile dell’adulazione. E che se nella franchezza c’è anche solo un centesimo di nota che suona falso, si avverte subito una stonatura, e ne viene fuori una scenata. Mentre l’adulazione, anche se è tutto falso, sino all’ultima nota, riesce comunque sempre gradita, e la si ascolta non senza piacere; sarà pure un piacere grossolano, ma è pur sempre un piacere […].

Quant’è vero, ho pensato. E certo che è vero, mi son poi detto, l’ha scritto Fëdor Dostoevskij, l’ha scritto. Mica coso.