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Napoliland

·411 parole·2 minuti

Non mi piacciono gli stereotipi, positivi o negativi che siano. Non mi piacciono gli stereotipi su Napoli, poi, in particolare, che rispetto a qualsiasi altro stereotipo sono sempre i più esagerati, coloriti e urlati. Non mi piace che deve piacermi Totò, Pino Daniele, la squadra del Napoli, la pizza o Troisi. Che poi a prescindere da cosa mi piaccia, non mi piace l’idea che per forza, solo perché abito a poco più di venti chilometri dal centro di Napoli, per forza mi debbano piacere. Non mi piace che quando viaggio debba essere quello sempre allegro, con la battuta pronta e che è arrivato senza la mozzarella o le sfogliatelle.

E non mi piace l’idea che Napoli sia una carta sporca, né che sia solo malavita e delinquenza, nemmeno però che il miglioramento sia motivo di vanto e orgoglio per una città che ha sofferto eccetera. Napoli è una città, e come tante altre città vive momenti buoni e cattivi, ha zone migliori e peggiori, nasce e muore di continuo. E forse, direi, forse anche questo è uno stereotipo.

Ma Napoli di stereotipi ne è piena e Napoli e i napoletani ci sguazzano, negli stereotipi. E gli americani e i tedeschi e i cinesi e tutto il mondo sta arrivando per respirare, vivere, dormire, guardare, ascoltare e mangiare lo stereotipo.

Lo stereotipo è diventato un’esperienza.

I Quartieri spagnoli hanno abbracciato il loro destino turistico così rapidamente che c’è chi teme che il cambiamento in corso possa portare a una “Napoliland”, una sorta di parco di attrazioni che sfrutta gli stereotipi associati a una città spesso idealizzata. […] Secondo Ugo Rossi, professore di geografia economico-politica, napoletano e osservatore preoccupato dei cambiamenti della sua città, la rinascita turistica di Napoli nella sua forma attuale porta a un vicolo cieco. “Ci stiamo dirigendo verso una monocultura turistica simile a un’economia di rendita di tipo estrattivo come quelle basata sul petrolio o sulle risorse minerarie”. Per Rossi la deindustrializzazione degli stati europei e la scelta delle città del Nordeuropa di puntare sui servizi ha condannato quelle del sud al turismo, favorito dalle piattaforme su internet. I due fenomeni di gentrificazione dovrebbero portare a un risultato simile: città senza una popolazione locale. Per Rossi a Napoli si cominciano già a vedere gli effetti dannosi di “un’economia dell’esperienza”, dove si vende ai visitatori lo spettacolo di uno stile di vita, di una cultura locale che la loro presenza contribuisce però a degradare e a ridurre a degli stereotipi.