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Spazzatura Droide

·509 parole·3 minuti

Ho recentemente acquistato un nuovo telefono per mia madre, uno smartphone Android di bassa gamma marchiato Samsung: avendo la santa donna investito sul sottoscritto supportando i miei studi in Informatica, mi ha giustamente sfruttato per la configurazione iniziale. Non è un telefono particolarmente complicato ed è indirizzato ad utenti che non devono farci, appunto, nulla di complicato: telefonare, usare WhatsApp, scattare foto e godersi quelle della nipote, consultare i volantini del supermercato e guardare le fiction di Terence Hill su RaiPlay. Avendo già la mia genitrice un telefono Android, avevo immaginato di investire nella cosa non più di 15 minuti. Quanto mi sbagliavo.

È stato un incubo. Samsung mi ha installato almeno tre volte – incredibile, tre! – le stesse applicazioni bloatware che io disinstallavo, e insieme a quelle mi ritrovato il pacchetto Office, Linkedin, Spotify e altre che non avrebbe mai usato e che io avevo rimosso dal dispositivo solo pochi minuti prima. Io toglievo, Android metteva. Dai la cera, togli la cera, ma senza trarre lezioni preziose. Da impazzirci.

Un telefono economico come quello sul quale ho sciaguratamente investito per mia madre viene acquistato da utenti mediamente poco smaliziati, utenti che senza esperienza, un figlio laureato in informatica o un cugino, durante la prima accensione si troverebbero installate applicazioni e giochi da due spiccioli che non userebbero mai, che lederebbero informazioni personali e privacy, che occuperebbero spazio e traffico dati, ma senza rendersene minimamente conto.

Mi chiedo, senza retorica e un po’ provocatoriamente, se sia questo lo stato di Android a quasi quattro anni dal mio passaggio a iOS.

Non ho dogmi, mi piace la tecnologia e non ne faccio una fede. Ho usato Android (Google e Samsung principalmente) per parecchio tempo, ho poi riabbracciato il piacere di avere un iPhone, consapevole dei pro e dei contro di un sistema chiuso come quello Apple, quindi non è un tema religioso: se la tecnologia è quella che mi serve e che preferisco usare in quel momento, l’adotto; in alternativa, mi guardo intorno. Questo per dire: non ho preconcetti nei confronti di Android. Anzi. Spesso ho la curiosità di provare gli ultimi Pixel di Google, ma desisto trovandomi ben sprofondato in questa confortevole poltrona di design su cui Apple mi ha fatto riaccomodare.

Non ho pregiudizi, ma non posso fare a meno di pensar male dopo la mia ultima esperienza. Se è questo lo stato medio dei dispositivi Android nel 2022 – non ho una risposta, non potendo fare altri test – se questo è lo stato, dicevo, e non voglio crederlo, è una situazione pericolosa per la privacy, per la sicurezza e per la serenità digitale di tante persone che non hanno nemmeno la più vaga idea di cosa sia Microsoft Outlook o Clash Royals o Samsung Smart Things, e che se li troveranno installati senza saperci far nulla. E non oso immaginare con gli smartphone di marchi meno blasonati.

Valuterei la mia esperienza come sfortunata e isolata, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Chi ci tutela dall’immondizia digitale che troviamo installata sui nostri nuovi dispositivi?