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Il mercato dell’inconsistenza

·219 parole·2 minuti

Negli scorsi giorni mi è arrivata una mail di auguri da LinkedIn per l’anniversario della registrazione sul social network: sono 14 anni che ho un account. Con la disattivazione del mio profilo Twitter, è l’utenza social più longeva che mi è rimasta. Ma è quella che uso di meno e che meno mi rappresenta.

Fuori dai denti, credo che LinkedIn in realtà non rappresenti quasi nessuno dei suoi utenti. È solo uno strumento e in quanto tale è assolutamente privo di umanità: serve a mostrare un manichino di se stessi, a sfruculiare opportunità e a mostrare la bancarella per vendere le proprie mercanzie. Lo si fa usando termini come skill, references, leadership, partnership, management, network, possibilities e via dicendo. E lo si fa in un modo che, spesso, traballa pericolosamente tra l’imbarazzante e il ridicolo.

Sia chiaro, l’ho usato anche io in passato e sono certo che ancora lo userò, ma approfitto della mail per metterlo qui e lasciarlo come manifesto per il futuro: io non sono il mio account LinkedIn.

Io sono la partecipazione delle mie e-mail, la socialità del mio profilo Mastodon, il racconto delle mie foto e l’insegnamento dei libri che leggo. E sono l’umanità di questo mio blog, oltre a tutto il resto.

Creiamo referenze, scrivendoci. Sviluppiamo opportunità, coinvolgendoci. Miglioriamo competenze, condividendoci.

Apriamo reti, raccontandoci.